carcere

A cura della Dott.ssa Virginia Tenuta

Dall’ultimo aggiornamento, il 21 marzo scorso, le misure disposte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per il contenimento del contagio all’interno delle carceri sono principalmente queste: pre-triage per i nuovi giunti; apposite aree di isolamento sanitario per chi risulti positivo al virus; DPI per il personale; raccomandata areazione, pulizia e disinfezione degli ambienti almeno una volta al giorno; incontri informativi per detenuti e agenti con il personale medico; possibilità di ricevere bonifici online; colloqui a distanza per garantire il prosieguo dei percorsi di studio; colloqui telefonici o in videochiamata con i familiari già autorizzati (anche per i detenuti del circuito di alta sicurezza), mentre al fine di mantenere il controllo sugli spostamenti è ancora vietato il colloquio visivo. Al 15 aprile, le notizie che ci vengono trasmesse dal Ministero sembrano attestare l’efficacia delle misure: 94 i detenuti contagiati su un numero totale di circa 60 mila e 204 agenti di polizia penitenziaria su circa 38 mila unità.

Viene allora da chiedersi perché, dall’8 marzo, le rivolte nelle carceri continuino a susseguirsi. L’ultima il 6 aprile nel carcere di Caserta. La loro violenza ha causato morti tra i detenuti, guardie della polizia penitenziaria ferite e prese in ostaggio, evasioni di massa.

Premettendo che non esiste interpretazione alcuna che possa legittimare la brutalità di simili sommosse, di certo l’analisi degli eventi fa insorgere in noi una legittima riflessione. L’annoso problema del sovraffollamento (dove potrebbero stare soltanto 100 persone lo Stato italiano ne ha confinate 120) da sempre rende difficile garantire l’igienizzazione e la salubrità degli ambienti penitenziari. In tempo di emergenza sanitaria, la consapevolezza di tale realtà inevitabilmente agita e incattivisce i temperamenti dei detenuti. Sebbene apparentemente la diffusione del contagio nelle carceri sia sotto controllo, l’incapacità di contenere prontamente le agitazioni fa emergere l’altro risvolto del sovraffollamento: le difficoltà gestionali per il personale addetto alla sorveglianza e alla protezione. Se questo stato di cose mette gravemente a rischio l’ordine pubblico in tempi di pace, nel corso di una emergenza, in cui le forze dell’ordine sono altrove impegnate, quel rischio genera un nuovo scenario di pericolo e per chi si trova all’interno degli istituti e per la società civile che ne è all’esterno, obbligata a confrontarsi con evasioni di massa che l’apparato giudiziario non è attualmente pronto a gestire.

Nella lista degli aspetti del nostro ordinamento che il Covid-19 ci sta costringendo a ripensare è allora sicuramente il caso di aggiungere la struttura del sistema carcerario italiano. Quando la guerra sarà finita auspichiamo tutti che l’ordine delle priorità in base al quale il legislatore opererà sarà diverso da quello che lo guidava prima dell’emergenza, e che probabilmente ci ha reso così vulnerabili al virus.

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