A cura dell’Avv. Francesco Belcastro
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La crescente percezione di insicurezza e la diffusione delle nuove tecnologie, ha fatto sì che negli ultimi anni si sia registrato un boom di installazioni, in prossimità dei punti di accesso alle abitazioni, di videocamere di sorveglianza.
La videosorveglianza, è considerata un ottimo deterrente per proteggersi dai malintenzionati, tuttavia, il suo utilizzo comporta delle complicazioni legate soprattutto al rispetto della privacy altrui, un problema particolarmente sentito quando si parla di telecamere in condominio, visto che la circolazione di persone è molto più intensa rispetto a quella relativa ad una singola abitazione privata.
Infatti, se al proprietario dell’immobile non può essere negato il diritto di proteggere il proprio bene, è necessario tutelare anche la riservatezza delle persone. Ed è proprio per questo motivo che il legislatore nel corso degli anni ha posto dei limiti all’utilizzo delle videocamere di sorveglianza.
Solo con la riforma del condominio, attuata con la legge n. 220/2012, è stata dettata una disciplina specifica per la videosorveglianza, mediante l’introduzione nel Codice Civile di un articolo ad hoc che, non solo, ha legittimato l’installazione degli impianti di videosorveglianza sulle parti comuni, ma ha anche dettagliato il procedimento necessario per decidere sul punto. L’art. 1122-ter c.c., rubricato “Impianti di videosorveglianza sulle parti comuni”, infatti, stabilisce che “Le deliberazioni concernenti l’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti volti a consentire la videosorveglianza su di esse sono approvate dall’assemblea con la maggioranza di cui al secondo comma dell’articolo 1136”.
Vale a dire, il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresenti almeno la metà dei millesimi di proprietà dell’edificio. All’assemblea condominiale, dunque, la legge riconosce il potere di deliberare sull’introduzione di impianti di videosorveglianza che dovranno avere come obiettivo esclusivamente quello di tutelare la sicurezza di cose e persone, ovvero beni comuni e i condomini o i loro familiari, e non altri scopi per cui il trattamento dei dati sia illegittimo. Per quanto concerne le spese, sia di installazione che di manutenzione, a meno di pattuizioni differenti, esse vanno suddivise in base alla tabella millesimale di proprietà.
Il Codice civile si limita quindi a fissare il quorum necessario per approvare l’intervento, ma per le disposizioni regolamentari sull’utilizzo delle videocamere occorre fare riferimento al vademecum “Il condominio e la privacy” redatto dal Garante della privacy pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge di riforma del condominio, ove sono previste delle regole differenti a seconda che le videocamere siano installate per fini personali (ad esempio, dal proprietario di una villetta indipendente) oppure in ambito condominiale, a protezione delle parti comuni dell’edificio.
Il proprietario di un’abitazione indipendente che decide di installare un sistema di videosorveglianza per fini personali, senza diffondere o comunicare a terzi le immagini registrate, non è tenuto a osservare le norme contenute nel Codice della privacy (Dlgs 196/2003) e non ha neppure l’obbligo di segnalare con appositi cartelli la presenza delle videocamere. Ad ogni modo, l’angolo di visuale dell’obiettivo della telecamera deve limitarsi esclusivamente a inquadrare l’area da proteggere, evitando di riprendere una strada, un marciapiede e qualsiasi altro spazio pubblico.
Più complicato, invece, è installare una videocamera a protezione delle parti comuni condominiali. In tal caso, una volta approvata la delibera e installato il sistema, l’amministratore ha l’obbligo di segnalare la presenza delle videocamere collocando cartelli ben visibili e riconoscibili nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze. Le immagini registrate possono essere conservate per un tempo massimo di 48 ore, poi devono essere cancellate.
Peraltro, in più occasioni il Garante ha ribadito che l’installazione delle videocamere in condominio è lecita solo se rispetti il cosiddetto «principio di proporzionalità», ossia se l’utilizzo delle telecamere rappresenti l’unica soluzione possibile rispetto ad altri sistemi meno “invasivi”, quali allarmi, cancelli automatici, e altri.
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