contratti

A cura dell’Avv. Herman Altomare

Uno degli effetti della crisi economica innescata dalla pandemia da Coronavirus ancora non chiaramente manifestatosi, ma che, a breve, temiamo possa dispiegarsi in tutta la sua gravità è quello delle conseguenze del mutato quadro sociale economico e finanziario sulla capacità della parte più debole di rispettare gli impegni contrattuali assunti in tempi non sospetti.
È incontestabile, infatti, che molti contratti sottoscritti nell’era pre-coronavirus e da eseguire nel periodo post crisi, prevedano obblighi non più sostenibili poiché basati su condizioni e situazioni economiche travolte dalla crisi (si pensi ad es. ai contratti di somministrazione, al perfezionamento di contratti di compravendita che trovano causa in formali contratti preliminari, ecc…..)

In tali situazioni è evidente che per molti privati e imprese il rispetto e l’esecuzione di tali contratti, rappresentanti, in molti casi, l’unica possibilità per la ripresa – se non la stessa sopravvivenza – dell’attività economica esercitata e/o la realizzazione di un progetto avviato, passi attraverso una ridiscussione delle clausole contrattuali.
Contemperando costi e benefici, la rinegoziazione di molti rapporti contrattuali, soprattutto di durata, potrebbe, infatti, rappresentare la soluzione al disequilibrio provocato dall’epidemia e un’alternativa ad una disastrosa e conflittuale risoluzione/rescissione del contratto.

Ma se nell’ambito dei Contratti Commerciali Internazionali è prevista la cd clausola “hardship”, che consente alla parte svantaggiata di chiedere la rinegoziazione del contratto in presenza di sopravvenuti eventi che alterano l’equilibrio del contratto, uguale rimedio di giustizia contrattuale non è rinvenibile nel nostro ordinamento, anche se, a ben vedere il nostro codice civile prevede la rinegoziazione, in determinate ipotesi, per alcuni tipici contratti di durata.

Così, ad esempio, in tema di appalto, l’art. 1664 del codice civile consente all’appaltatore e al committente di rinegoziare il costo dei materiali e della manodopera qualora circostanze imprevedibili abbiano provocato un aumento o una diminuzione del loro costo; allo stesso modo, in tema di affitto, l’art. 1623 del codice civile prevede la rinegoziazione del fitto, quale alternativa alla risoluzione del contratto, “se, in conseguenza di una disposizione di legge o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio” Ed ancora, l’art. 1467 del codice civile, all’ultimo comma, prevede che la parte chiamata in giudizio da chi intende ottenere la risoluzione di un contratto divenuto eccessivamente oneroso possa offrirsi di riportare ad equità le condizioni contrattuali. Ma in quest’ultimo caso, trattasi, comunque, di una mera facoltà e non di un obbligo.

È di tutta evidenza che nelle fattispecie richiamate ci troviamo di fronte a specifiche e limitate previsioni legali di rinegoziazione e non ad un principio di ordine generale che impone alle parti di rivedere le condizioni dei rapporti contrattuali di durata laddove eventi eccezionali sbilancino le iniziali condizioni contrattuali.

Cosa fare, dunque – in tutti quei casi in cui le disposizioni legislative previste per le fattispecie tipiche non risultino applicabili – per fornire una base legale alla parte che abbia interesse a mantenere in vita un contratto, rivedendone le condizioni?

Di fronte ad una siffatta lacuna normativa, riteniamo possa soccorrerci una combinata lettura tra il principio di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione (che, in ambito contrattuale, impone alla parte contrattualmente forte di riportare ad equità i rapporti che appaiano del tutto sbilanciati a danno della parte debole) ed il principio di buona fede di cui agli artt. 1375 e 1175 del codice civile (che, obbliga le parti a conformare la loro condotta ad un rigoroso canone di correttezza, limitandone, in una certa misura, l’autonomia), in grado di garantire un riequilibrio delle posizioni contrattuali allorché sopravvenuti eventi abbiano alterato il sinallagma, come è certo il caso che della situazione che oggi stiamo vivendo.

In questo modo l’obbligo – non espressamente e direttamente previsto come norma di carattere generale – di rinegoziare le clausole contrattuali in presenza di circostanze imprevedibili, trova, risposta e sostanza nel richiamo e nell’applicazione di principi che impongono alla parte contrattualmente “forte” di accogliere favorevolmente l’invito alla rinegoziazione del contratto.

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